Valentino Borgia pittore contemporaneo


valentino borgia

Biografia

Sono Valentino Borgia. Nasco e vivo a Reggello, paese toscano alle pendici del Pratomagno, non lontano da Firenze. Autodidatta, mi sono interessato alla pittura fin da giovane.
Nel 1967, a vent’anni, la mia prima mostra all’Hotel Belvedere, nella vicina Vallombrosa. Privarmi delle mie opere e ancor piú mercanteggiare su di esse, resero peró sgradevole quella mia prima esperienza, tanto che lasciai trascorrere venti anni prima di ripresentarmi al pubblico con una personale a Reggello. Il successo della mostra mi invoglió a continuare
Nel 1997, complice una felice scelta vacanziera, scoprii Cuba e me ne innamorai, colpito dalla sua gente, povera da fuori ma ricchissima dentro, dalla sua musica, dai suoi ritmi, dai suoi balli, dalla sua splendida natura. Cuba é unica, é sensuale, é la musa ispiratrice perfetta perché incarna tutte le mie passioni. Passioni che cercai subito di trasmettere nelle e con le mie tele
Da allora nelle mie numerose mostre italiane e internazionali “Cuento Cuba”, racconto di Cuba, sono soddisfatto, e non dico altro...

Scrivimi

" Cuba é unica, é sensuale, é la musa ispiratrice perfetta perché incarna tutte le mie passioni"



CORRADO MARSAN
Ut pictura poesis

" a Valentino Borgia,
strenuo paladino
della Maestà della Natura."

 
 

QUELL'ISOLA DELL'ANIMA

 

A sentire le servili quanto rapaci cassandre di regime
e gli altezzosi tuttologi d'accatto o gli araldi del pensiero inesistente
non sono più i tempi di veglie severe nel canto ospitale del camino avìto
di mirate istorie gremite, poniamo, di amadrìadi e liocorni
draghi e sirene, cavalieri erranti e impavide vestali
né di star lì a credere nell'impossibile a credersi
o di affidarsi, pur secondandola con la corda del cuore,
alla voce sorgiva e insopprimibile dei ricordi e della nostalgia...
E sono ben rare, ormai, le stagioni allietate
da ‹‹chiare, fresche, e dolci acque››, da albe opalescenti
da placidi meriggi riflessi in una bolla di sapone
da tenere nottate in balìa di fulve villanelle e lèpide baccanti
da premurose sibille intente a decriptare l'immane Vero
racchiuso in una mùtile impronta fossile a foggia di cometa
o di estrosi e fidati manichini in dòmino messi a guardia
degli amori delle vanesse degli usignuoli delle libellule dei lampìridi
e dei sentieri delle fate degli elfi dei giullari e ‹‹dei nidi di ragno››.
Nondimeno, come non esultare
– quali venturosi predatori d'immagini –
all'ineffabile richiamo delle feste galanti della primavera
torno torno le prode le sierre le lagune le dimore e le vestigia
della tua eletta Isola dell'Anima?
Come non ripercorrere – in questi tele sapientemente giocate
sul pendolo fra ragione e sentimento, forma e contenuto
significato e significante (donde il tuo fermo, lodevole rifiuto
della ‹‹facile spontaneità e del colore locale››
per dirla con l'accorto Sandro Guarducci) –
i crocevia, le scorciatoie, gli slarghi, gli anfratti o le balze che conducono
(in un abbraccio proteso a misura d'orizzonte o di cielo di là dal cielo)
ai luoghi deputati di sempre (quante, quante volte, caro Valentino,
mi hai fatto toccare, complici le pagine laboriose
del tuo emblematico e struggente giornale di bordo,
le mattine o i tramonti lungo la sinuosa
e magnetica ribalta del Malecón all'Avana
e financo le nobili orme di José María Heredia, Domingo del Monte
Cirilo Villaverde, del venerato José Martí, di Ernest Hemingway
del mitico "Che", di Amelia Peláez, José Lezama Lima
Alejo Carpentier, del mio amato Wifredo Lam
di Nicolás Guillén, Dulce María Loynaz, Guillermo Cabrera Infante...
– quando non le effigi di coppie in estasi
sullo sfondo del Castello del Morro
o di musici e ballerini sorpresi a coronarsi d'un'ultima stilla di sole)?
E ancora, come non gioire allo squillo d'una tromba o al pizzicato
di liuti violini e chitarre che ripropongono, di borgo in borgo
di strada in strada di corte in corte di chiostro in chiostro,
le note sublimi dei Canti dell'innocenza?
Nel mentre mi piace immaginarti
– ispirato e paziente rapsodo assiso sulla tolda del tuo studiolo
ormeggiato ai campanili rampanti e alle antiche torri
delle terse convalli di Reggello e dintorni (intanto lei, Cuba,
aspetta fidente il tuo prossimo ed ennesimo ritorno
– me lo porterai, di nascosto, un cucciolo d'iguana da addomesticare?) –
sempre intento a enumerare e intessere, in punta di pennello,
le ruche maliose di Selene, i ciuffi di luminarie superstiti
le rutilanti oasi dei sortilegî e delle tentazioni, i corteggi
dei colibrì e dei pavoni ebbri di luce, le stese di canna da zucchero
e di tabacco, le macchie di palme reali, i dossi accesi
dal furore delle rose, le vaghe penombre
che indugiano sui serti di Mariposa blanca sui Flores de yeso
sui filari delle piante di caffè, sulle capanne dei campesinos
per poi dileguarsi sui veroni adorni di fanciulle in trepida attesa
o sui comignoli cullati da subitanei approdi e congedi
– e nell'immensità dell'attimo sospeso
in cui percepiamo che il Creato insegna tacendo, i minuti
si susseguono ai minuti e indarno ci illudiamo di poter confutare
la Maestà delle Cose (la loro identità e insieme il loro terribile Enigma)
gl'inopinati eventi immobili o addirittura giustificare
(non è così, Valentino?) l'insipienza delle torme impudenti
come pure la protervia spinta a lucroso sistema di potere…
Ed ecco che nella gloria del disteso mezzogiorno
al tuo assiduo confabulare con la prodiga Signora Madre Terra
fanno eco a gara, sulle ali maestre di Zefiro cortese,
lo schiocco galeotto del merlo immerso nell'alloro
le confidenze dei fenicotteri in parata, i bruschi "ciao" dei pappagalli
il pianto della fontana nel giardino disertato da Alice
il cantilenare d'un vetturino alle prese con Guantanamera...
Talché davanti alle tue variegate polifonie figurali
– inconfondibili quelle recenti sul tema del mare-sul-mare
(che ognora contempli o sogguardi dagli spalti insonni del Malecón) –
non è difficile cogliere e quasi riassaporare, nell'implacata disputa
fra visibile e intuibile (e nell'impositività d'un rabescare
di volta in volta scandito dal tarlo d'un idillio, d'un sogno inevaso
o da un brivido d'improvvisa melanconìa),
il senso e la portata della voluttà barbarica e intrigante
del dipingere en plein air e dell'implicito inverare persino
su un umile filo d'erba, un ramo adusto, una bicicletta dismessa
una canna da pesca, su una roccia consimile a un capriccio di nuvola
o su un flabello d'azzurro in forma di cuspide ambrata.
Ed è la riprova lampante che la tua pittura-pittura non si è mai affidata
ai corsi e ricorsi d'un perentorio quanto pretestuoso
calcolo degli ismi in auge; per contro, essa arriva sincera
e rassicurante alla stregua del grido memorando
del venditore di almanacchi, del manicero, del pastorello
o dei rintocchi d'una campana che festosa prelude alle imminenti
chimere della notte fonda, con le conseguenti rivalse
del libero arbìtrio della fantasia e del negletto stupore di esistere
giusto a disfida delle mendaci e riprovevoli pose e ciarle
peculiari dell'incultura e della volgarità oggi dilaganti.
Frattanto, dall'altàna d'un superbo palagio di Trinidad,
l'indomito Pascal declama ai quattro venti uno dei suoi celebri Pensieri
(ricordi, Valentino, ricordi? Ascolta, ascoltiamo tutti…):
‹‹La Natura ricomincia sempre le stesse cose:
gli anni, i giorni, le ore; parimenti, gli spazi e i numeri
si susseguono o si alternano senza discontinuità.
Si fa in questo modo una specie d'infinito e di eterno…››.
E tu, pittore e gentiluomo,
non smettere, non smetterai giammai di "cantare Cuba"...

Firenze-Reggello, 7-10 maggio 2015

Dalla rivista trimestrale ERBA D'ARNO, n°141-142 Fucecchio